Parigi, sentenza simbolo per il settimanale "Charlie Hebdo"
Applausi dopo la lettura della sentenza a favore dell'editore
Assolte le
vignette sull'Islam
"Una risata contro l'intolleranza"
Era stato accusato da
diversi gruppi musulmani che avevano chiesto 30 milioni di euro di danni di
FRANCESCO MERLO
Philippe Val, direttore del settimanale
"Charlie Hebdo", dopo l'assoluzione
PARIGI - Il riso
contro la ferocia, l'educazione all'ironia contro i tagliatori di gole.
Ieri pomeriggio il tribunale di Parigi ha pronunziato una sentenza di
assoluzione che forse vale più di un intervento militare
perché obbliga la più numerosa
comunità musulmana d'Europa, quasi sei milioni di persone, a
convivere con l'ironia, anche quella verso il profeta.
"Si può ridere e sorridere di sé senza perdere la
profondità della propria fede" ci dice il giornalista
Philippe Val, subito dopo avere ascoltato il verdetto che lo assolve
dall'accusa di razzismo per aver ripubblicato sul settimanale Charlie
Hebdo le famose dodici vignette danesi su Maometto, aggiungendone molte
altre preparate in casa dai caricaturisti francesi.
Certo il pubblico che, in una solenne, affollata aula tutta di legno,
ha compostamente ma lungamente applaudito il Tribunale, ha voluto
celebrare la libertà di espressione, onorare Voltaire e
l'illuminismo, ma in realtà questa sentenza, che legittima
la satira sull'Islam, va molto oltre. Qui siamo al riso come
alternativa allo scontro di civiltà, siamo allo sberleffo
terapeutico, siamo davanti a una Corte di Giustizia che insegna a
considerare persa ogni giornata che sia passata senza una risata:
"È vero - ha solennemente detto il presidente del tribunale
- che la presentazione del profeta con un turbante in forma di bomba
con la miccia accesa, presa in sé isolatamente, oltraggia
l'insieme dei musulmani assimilandoli tutti, senza distinzione, ai
seguaci del terrore", ma "il contesto civile.... è di
provocazione e di irriverenza", e "la pubblicazione è stata
un atto di resistenza", con l'obiettivo dichiarato di "accrescere la
libertà degli uomini e delle donne di cultura musulmana". E
la prova, sempre secondo la sentenza, è "anche in quel
disegno di Wolinski che mostra Maometto mentre ride contento guardando
le sue caricature".
Dunque è stato stabilito che raffigurare Maometto con un
bomba in testa non è reato quando il contesto è
quello della "civiltà del riso". Il che significa che "chi
non ride fa più ridere" mi dice l'avvocato del settimanale
satirico, Goerges Kiejman, un principe del foro imponente e autorevole
che difende le star dello spettacolo, era amico di François
Mitterrand, ed è una specie di radicale di sinistra che
recentemente si è occupato della separazione tra Sarkozy e
la moglie Cécilia. Da ministro, Kiejman pronunziò
un celebre discorso in Parlamento introducendo la distinzione, che
sarebbe piaciuta a Giorgio Gaber, tra "sodomiti di destra e sodomiti di
sinistra". Ebbene, l'avvocato sostiene che questa sentenza si inscrive
nella grande tradizione francese ed europea della satira, degli spiriti
folletti, degli straordinari bozzetti di Daumier ma anche di Bergson e
del riso come slancio vitale, il riso come intelligenza che si fa
strada dentro il luogo comune: "I popoli seri sono quelli che sanno
ridere"
Domando al presidente delle Unione delle organizzazioni islamiche
francesi (Uoif), che con passione ha deciso di presentare appello, se
il mondo musulmano francese accetta quest'idea giudiziaria che bisogna
ridere anche di se stessi; e se, insomma, gli piace l'imposizione
dell'allegria come rimedio all'estremismo islamico. Si chiama Lhay
Thami Breze e l'ho visto ascoltare la sentenza con l'aria di un
piccolo, rotondo e placido monsignore nutrito di buone letture e
addolcito dall'indulgenza. È vero che alla fine, annunciando
l'appello, mostra un carattere risentito di polemista, ma si vede che
sta lottando contro i pregiudizi, almeno quanto glielo consentono le
ali estreme della comunità musulmana che egli, con il
rettore della Grande Moschea di Parigi, "le docteur Dalil Boubakeur" ,
vorrebbe guidare in porto, proprio come il Tribunale, sino al trionfo
dell'ironia e del disincanto. Roseo, solido, ottimista, con gli
occhiali cerchiati d'oro, è intento a distribuire pacche
sulle spalle ai giornalisti di strada che, ciondoloni e bighelloni, non
smettono di fargli circolo: "Non è vero che non sappiamo
ridere di noi stessi. Abbiamo denunziato solo tre dei disegni del
settimanale Charlie Hebdo e non capiamo come il tribunale possa da un
lato ammettere che hanno pubblicato un disegno che ferisce la
sensibilità musulmana e dall'altro assolverli in nome della
libertà di riso. Anche nel mondo della satira, anche nella
caricatura, non esistono zone fuori dalla legge".
Si chiude così un processo esemplare e spettacolare che,
cominciato il 7 gennaio scorso, ha visto sfilare come testimoni a
difesa della libertà di riso gli uomini del governo e quelli
dell'opposizione, tutti i più importanti intellettuali e
giornalisti di destra e di sinistra, i relativisti e i clericali, gli
atei e i credenti, le femministe e le signore in pelliccia, i
caricaturisti e i pittori, ciascuno per ricordare a suo modo che, come
ha scritto Sarkozy al tribunale, "è meglio un eccesso di
riso che la mancanza di riso". Poi a sorpresa una mattina si
è presentato in aula il segretario socialista Hollande,
"monsieur Ségolène", e poi Bayrou che ha detto di
credere in Dio ma anche nel riso. E tutti hanno ribadito che la satira
non deve avere confini né occhi di riguardo, neppure per la
religione, ma per la verità non esiste in Francia una satira
blasfema, e ci si esercita semmai a prendere in giro l'uomo che si
crede portavoce di Dio, che dà del tu a Dio, che si crede
camerata di Dio, e che immagina Dio con gli occhi cupi, a testa china,
i denti stretti.
Inoltre questa è una sentenza in controtendenza, un rifiuto
di quel politicamente corretto che secondo il presidente della
Commissione Barroso "sta uccidendo la libertà di
espressione" nell'Unione Europea che ospita quindici milioni di
musulmani ed è spaventata al punto che in Germania una
signora giudice ha negato il divorzio ad una donna non
perché non sia vero che il marito la picchia "ma
perché la picchia per obbedire al Corano".
Tutti sappiamo che denunziare gli eccessi dell'Islam può
costare la vita, come è accaduto al regista olandese
Théo Van Gogh, e sappiamo che corre rischi anche chi ride
dell'Islam. Persino l'amministrazione Bush, Tony Blair e il Vaticano
espressero la loro solidarietà ai musulmani in collera che
bruciavano le ambasciate e uccidevano gli infedeli perché
offesi dalle vignette pubblicate sul quotidiano danese Jyllands-Posten.
E infatti i cinquantasette paesi dell'Organizzazione della conferenza
islamica hanno trovato il clima adatto per presentare all'Onu un
progetto che ha per fine di "rendere la diffamazione delle religioni e
dei profeti incompatibile con il diritto e con la libertà di
espressione".
E invece la Francia con questa sentenza denunzia la barbarie che limita
e censura, tra le altre cose, anche la nostra libertà
d'espressione. Capiamo che il coraggio chi non ce l'ha non se lo
può dare, e però la satira non appartiene solo
all'universo cristiano: il vignettista di Libération Willme,
che nel novembre del 2005 disegnò Cristo in croce vestito
solo di un preservativo, ha saputo poi caricaturizzare anche Maometto.
Ed è bene ricordare che i comici italiani che molto
simpaticamente sfottono il Papa, e che noi abbiamo sempre coerentemente
difeso, preferiscono evitare l'Islam e i suoi costumi, la poligamia, i
kamikaze, le vergini del paradiso e i veli, con quel drammatico
fardello dell'occidentale che deve avere riguardi per gli orientali e
diffidenza satirica, sarcastica e morale solo per se stesso, come
già recitava una vecchia filastrocca (satirica) di Curzio
Malaparte: "Loro son tutti onesti, tutti eroi, / noi tutti ladri, porci
e farabutti, / noi tutte vacche e loro tutti buoi / loro son tutti
belli e noi siam brutti. / Noi abbiamo tutti quanti il cuor di sasso /
loro più fortunati hanno il cuor d'oro. / Loro han la gamba
e noi nemmeno il passo. / La fame è nostra e l'appetito
è loro".
Ebbene ringraziamo la Francia che rilancia il gusto per la
corbellatura, e ci insegna in tribunale che se l'estremista musulmano
imparasse a sopportare il riso non potrebbe più tagliare la
testa all'infedele, perché l'ironia chiama la compassione e
allontana la ferocia.
Infine questa è una
sentenza, e nei prossimi giorni lo si capirà meglio, che,
malgrado se stessa, è "teologica", nel senso che si occupa
di cose che non competono agli uomini e dunque neppure ai giudici, non
tanto perché cerca di incoraggiare il processo di
secolarizzazione dei musulmani francesi che non sono caricati a molla
in qualche caverna clandestina, ma perché è una
sentenza sul riso che "è ignoto agli animali", ed e
contagioso e sociale, perché "solo i pazzi ridono da soli" e
"si può ridere a mezza bocca mentre non si può
piangere da un occhio solo" come dicono i manifesti del "Festival del
riso" che proprio stasera si apre a Parigi. Il riso che non solo non
offende Dio, ma al contrario lo onora.