Il secondo libro è il seguito del
primo, e in quest’ordine a mio avviso andrebbero letti, magari a distanza di
anni, data la densità delle vicende, che necessitano di sedimentazione. I libri
di Chaim Potok sono una porta che si schiude su un mondo antico e misterioso, sono
nutrienti e fonte di ispirazione, sono un monumento di laicità, sono romanzi di
formazione.
In “Danny l’eletto” la costruzione
dell’amicizia tra Danny e Reuven prende avvio da un doloroso incidente su un
campo da baseball che avrebbe inimicato per sempre chiunque, ma non loro due.
In un momento difficile di questa costruzione, il padre di Reuven gli dice:
“Due cose sono importanti nella vita di un uomo, e se accadono tale vita è
benedetta: incontrare un maestro e avere un amico” (cit. a memoria). Ecco,
questo è uno dei fondamenti della scrittura di Potok: è rivolta al cuore della
vita, ai mattoni veramente importanti su cui edificare noi stessi. Reuven e
Danny apprendono che l’avversario non è un nemico, che il rispetto non deve
venire meno nel dissidio, non solo come
regola di civiltà ma anche come regola di “best practice”: tanto maggiore è il
rispetto per l’avversario tanto maggiore sarà l’efficacia della mia azione, sia
per la maggiore serenità che saprò mettervi, sia per la minore resistenza con
cui sarà accolta.
La religiosità dei personaggi di
Potok emerge sopra ogni cosa nel fatto che agiscono giorno dopo giorno con lo
scopo di identificare a quale fine dedicare la propria vita. Non è un
appannaggio esclusivo di chi crede, ma loro agiscono in questo modo spinti
dalla propria fede. Non è una cosa piccola. La maggioranza delle persone si
lascia vivere. Una minoranza ha degli scopi: il successo nel lavoro, la vetta
dell’Everest, tre figli. Ma pochissimi hanno dissodato sé stessi così tanto da
scegliere a quale fine dedicare la propria vita. Serve applicazione, serve
fatica, servono delle prove che costringano a compiere delle scelte – e ogni
scelta implica una rinuncia. Nel film Lo
Hobbit il benestante e arrivato Bilbo Beggins viene stanato da Gandalf in
Grigio e “costretto” a scegliere tra stare e andare. Sceglie il viaggio con i
nani anche perché sente di non avere ancora identificato a quale fine dedicare
la propria vita. Nei libri di Potok è quasi sempre il Talmud a stanare i
protagonisti.
Nel 2008 Einaudi ha raccolto in un
unico volume la cosiddetta Trilogia della Frontiera dello scrittore texano
Cormac McCarthy. La prefazione del volume è di Alessandro Baricco, ed è molto
bella. Scrive tra l’altro: <<La musica di McCarthy è lenta. I suoi libri
aprono un tempo molto particolare, indescrivibile, bisogna provare. Impongono
un tempo (di solito un buon indizio per riconoscere il grande scrittore). Ti
rallentano>>. La stessa cosa accade con la musica di Potok, ciò che mi
scalda e mi cura, perché io invece sono affrettato, trovo difficile rallentare,
tendo sempre a sovraimporre le mie to-do-list
ai ritmi naturali della vita (uno dei motivi per cui cammino in montagna è
esattamente questo: vivere un tempo rallentato, più naturale, dove ogni momento
occupa il proprio spazio auto-evidente).
Nella preparazione del materiale per
Roverway 2006, un campo scout che ha visto circa quattromila giovani dai 16 ai
22 anni provenienti da tutta l’Europa raccogliersi in Toscana per una
settimana, decidemmo di inserire nel quaderno di campo anche un brano tratto da
“Danny l’eletto”, questo: <<“Gli esseri umani non vivono in perpetuo,
Reuven. Viviamo meno di quanto dura un batter d’occhio, se si commisurano le
nostre vite all’eternità. Può quindi essere lecito chiedere qual è il valore
della vita umana. C’è tanta sofferenza, in questo mondo. Che significa dover
tanto soffrire se le nostre vite non sono nient’altro che un batter d’occhio?”.
Si interruppe di nuovo, e aveva lo sguardo velato, adesso, poi riprese.
“Reuven, ho imparato molto tempo fa che un batter d’occhio è nulla, di per se
stesso. Ma l’occhio che batte, quello sì che è qualcosa. Lo spazio di una vita
è nulla. Ma l’uomo che la vive, lui sì che è qualcosa. Lui può colmare di
significato questo spazio minuscolo, cosicché la sua qualità sia
incommensurabile, sebbene la quantità possa essere irrilevante. Comprendi quel
che dico? L’uomo deve colmare la sua vita di significato, il significato non
viene attribuito automaticamente alla vita. E’ un compito duro, bada, e questo
non credo che tu lo comprenda, per ora. Una vita colma di significato è degna
di riposo. E io voglio esser degno di riposo quando non sarò oltre
quaggiù”>>.
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