Purtroppo, appare sempre più evidente che la morsa, anziché
allentarsi, si stringe. A fine ottobre (nove mesi dopo!) la nave, stritolata,
affonda. Si ritrovano sulla banchisa, dove a lungo devono sopravvivere assediati
dall’incertezza e dal gelo, fino a quando il ghiaccio inizia a spaccarsi, e
possono (ulteriori sei mesi dopo!) mettere in acque le tre scialuppe a vela che
avevano tirato via dall’Endurance. Facendo
ricorso a capacità marinare che oggi nessuno si sogna minimamente di avere
navigano nelle tempeste antartiche avendo come strumentazione di orientamento un unico
sestante rimasto funzionante, ed approdano eroicamente all’Isola dell’Elefante,
nel mese di aprile del 1916. L’isola è un luogo freddo, selvaggio ed inospitale fuori
da qualsiasi rotta, e suo malgrado Shackleton deve rimettersi in viaggio.
Lascia il grosso dell’equipaggio accampato, e con un gruppo scelto dopo pochi
giorni riprende il mare, affrontando l’ennesima prova di sopportazione e
resistenza. Raggiungono incredibilmente la Georgia del Sud,
attraccando nella parte opposta rispetto a quella in cui si trova la stazione
dei balenieri. Affrontano allora una vera e propria traversata alpinistica
dell’isola, che dura molti giorni, al termine della quale possono infine dirsi
salvi. Per questioni economiche e di maltempo, l’equipaggio rimasto sull’Isola
dell’Elefante potrà essere recuperato solo il 30 agosto 1916.
Questa straordinaria
e terribile avventura è presa spesso ad esempio come emblema della
razionalità dell’uomo ed inno alla resilienza,
cioè la capacità di
sopportare e perseverare. Abitualmente nei moderni corsi aziendali di
management la figura di Shackleton è sempre più spesso citata come
esempio di leadership. Alla fine dell’epopea
degli uomini dell’Endurance non si
conterà neanche un morto. Una ulteriore conferma dello spirito di squadra di quell'incredibile pugno di uomini.
|