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Il fuoco dell'anima
Succede
che a un tratto tre romani pubblichino tre libri bellissimi: Jolly con
"Run Out", Stefano Ardito con "Incontri ad alta quota", Andrea Di Bari
con "Il fuoco dell'anima". Alessandro
"Jolly" Lamberti è il primo ad aprire le danze con un libro
strepitoso (recensito in queste pagine) e di cui si tende a parlare
troppo per la polemica con Manolo (rimossa nell'edizione di Versante
Sud), quando invece il libro ha un valore intrinseco altissimo.
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Stefano
Ardito è l'ultimo dei tre in ordine di tempo, con un vero e
proprio gioiello di giornalismo (cosa in Italia sempre più
rara). Trentacinque interviste (alcune storiche e riproposte, altre
nuove, tutte con un interessante preambolo) a mostri sacri come Walter
Bonatti e Reinhold Messner, ma anche Adam Ondra, Alexander Huber, Doug
Scott, Jerzy Kukuczka, Chris Bonington, Fritz Wiessner, Pierluigi Bini.
Si impara la storia dell'alpinismo leggendole. Si capisce come il punto
di vista si sposta nel tempo. Sono interviste realizzate e scritte con
competenza e passione, dove troviamo le speranze, le paure, le idee, i
sogni, il ricordo di amici e compagni scomparsi.E tante informazioni puntuali e documentate. |
Andrea Di Bari |
"Il fuoco dell'anima" chiude il triangolo. Anzi, lo realizza: infatti
non ci troviamo dentro né il giornalismo di Stefano Ardito né le
riflessioni introverse e intellettuali di Jolly, anche se la tribù
di climber "nevrotica e vitale" è la stessa, tant'è che ognuno dei due
è protagonista di molti dei racconti dell'altro, senza nascondere le
frizioni. Diciamo, in estrema sintesi, che Andrea Di Bari e Jolly
erano i due top-climber che si contendevano la scena romana (a tratti
anche italiana) di quegli anni. Perché un libro su vicende di
free-climbing di trent'anni fa è interessante e merita di essere letto
oggi? Per erudizione e gusto storico? Per ri-scoprire le idee e la
bravura dei precursori? Per sorridere di quando Andrea smartellò
una presa a Jolly sul Monte Moneta per impedirgli di liberare un suo
progetto negandogli un vantaggio morfologico? Per un mix di nostalgia e
saudade?
Leggiamo la presentazione che del libro di Andrea fa l'editore:
"Quando i dischi erano in vinile e le immagini si vedevano al
proiettore, un pomeriggio d’autunno una banda di ragazzi di borgata resta
incollata allo schermo dove, alle note di «The Dark Side Of the Moon»,
scorrono delle fotografie delle Alpi. Uno di loro ha quattordici anni,
è cresciuto a ‘pane e botte’ e si chiama Andrea Di Bari. Quel
giorno Andrea capisce una cosa: «Quelle vette erano la cosa più bella
che avessi mai visto e che riconoscevo dentro di me. Il mio Shangri-la,
il mio paradiso futuro. Percepii chiaramente che su una di quelle
cime sarei stato per la prima volta davvero me stesso. Vaffanculo la
bisca, il pallone e tutto il resto»."
Bruno Vitale
Il libro avvince perché è la
storia di un ragazzo che trova un progetto di vita e lo persegue con
dedizione, senza cedere agli infortuni né ai richiami
inesorabili della
borgata. L'arrampicata come piacere fisico e gioia della vita
all'aria aperta, l'arrampicata come mezzo per non morire giovani a
causa di una rissa o di una dose, l'arrampicata come percorso di
scoperta interiore e consapevolezza. Poi, va da sé, nel libro ci
sono la roccia, Ferentillo, Sperlonga, le gare a Bardonecchia, le
solitarie slegato al Corno Piccolo, e tanto altro. Ma il cuore del
libro è: scalare ha cambiato in meglio la vita di un ragazzo. Ne
ha dischiuso il potenziale migliore.
(settembre 2018)
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