SENZA COMPROMESSI
La vita e gli scritti di Reinhard Karl, alpinista tedesco, si leggono godibilmente. Karl si rifà a Sir Hillary e Hermann Buhl, cioè all’Alpinismo con la A maiuscola, romantico, idealista, epico, pulito, all’Alpinismo delle grandi imprese, vivere per raccontarla.

“Avevo deciso di fare il meccanico. Perché? La tecnica, guidare lontano, fare qualcosa con le mie mani, queste erano le ragioni che mi spinsero a scegliere il più sporco e miserabile fra i diversi mestieri che un quattordicenne possa sognare”. La montagna come furto, furto di giorni, ore, al sonno, al riposo della domenica, alle sicurezze di una vita tradizionale. “L’alpinismo divenne per me qualcosa di simile ad un altro mondo, significava scoprire che esisteva qualcos’altro oltre al lavoro, il cottimo e le automobili” (p. 218). 

Gli inizi di una grande passione che lo condurrà fino alla ribalta internazionale, quando nel 1978, aggregato alla spedizione di Messner e Habeler che per la prima volta raggiungono la cima dell’Everest senza ossigeno, diviene il primo tedesco a calcare la vetta della montagna più alta del mondo. Scrive (p. 111): “Lentamente, dopo la felicità, arrivano la tristezza ed un senso di vuoto: un’utopia si è avverata. Intuisco che anche l’Everest è solo un’anticima, non raggiungerò mai la vetta vera e propria”.

Ma i passi migliori del libro non sono quelli, in qualche modo già letti altrove, risaputi, dell’epica himalayana, ma i tormenti dell’ordinarietà della sua vita tedesca, nei quali il lettore può immedesimarsi più che negli exploit 
alpinistici, ed i racconti delle sue incursioni a Yosemite, proprio negli anni d’oro. Eccezionale la storica foto di Ron Kauk che fa sassismo mentre John Bachar suona il sax, anche se dovendo appenderne una in casa sceglierei quella del telo che accoglie l’infinito materiale di una big-wall a El Cap (tavola IV, dopo pagina 128).

Reinhard Karl muore sul Cho Oyu il 19 maggio 1982. È in tenda. Si ode un fragore, una valanga, blocchi di ghiaccio cadono tutt’intorno. Il compagno di tenda riporta una frattura alla gamba, Karl muore, il resto del gruppo è illeso.
Viene seppellito nel ghiaccio, gli sherpa sopra il corpo spargono del riso.

Al termine del resoconto di Son of Heart (Yosemite) scrive (p. 144): “Giù a valle ognuno di noi riprenderà a correre nella sua direzione. C’erano una volta quattro giorni in cui tre uomini hanno arrampicato assieme”. 
È lo stesso pensiero che ho al termine di ogni trekking. Senza compromessi contiene alcune belle letture. 


Recensione di:

Dauer, T., a cura di, Reinhard Karl. Senza compromessi. Trad. it. Edizioni Versante Sud, 2004.
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